martedì 5 ottobre 2010

DALL'ALTO DEI TACCHI SI VEDE PIU' LONTANO ... e le quattro mura domestiche sono un confine troppo ristretto per scrutare l'orizzonte della libertà e dell'autosufficienza!

Su "la Repubblica" di domenica 3 ottobre troviamo un interessante articolo di Chiara Saraceno che ha il merito di portare all'attenzione dell'opinione pubblica un trend recente relativo all'occupazione femminile nel nostro paese. Purtroppo non si tratta di una rilevazione confortante: in controtendenza con il resto dei paesi sviluppati ed anche con quanto era avvenuto in Italia negli ultimi dieci anni, la percentuale di donne italiane che non ha, né cerca, lavoro ha ripreso ad aumentare e riguarda oggi quasi la metà (LA META' !) di tutte le donne in età da lavoro, una percentuale da anni sessanta.

Questo dovrebbe costituire un problema politico rilevante, dovrebbe essere tra le priorità da affrontare sia da parte del governo sia dell'opposizione, oltre che dei sindacati, e invece... (citiamo l'articolo) "... significa che la metà delle donne in età da lavoro non ha nessuna speranza di ottenere una autonomia economica ed invece deve dipendere dall'avere un marito e sperare che il matrimonio duri, senza poterne uscire se si rivelasse insopportabile. Significa che gran parte delle famiglie italiane, soprattutto, ma non solo, al Sud, ha un solo percettore di reddito, dalla stabilità e adeguatezza del quale dipende la sopravvivenza di tutti. Al punto che quando questo marito si trova senza lavoro e senza ammortizzatori sociali e non sa dove sbattere la testa, quindi non riesce più fare fronte alle proprie responsabilità economiche, può anche decidere che non valga più la pena vivere. È successo all'operaio disoccupato di Castellammare, che non ha più retto la «vergogna» di non riuscire a mantenere moglie e figli. Certo, queste «inattive» in realtà sono spesso attivissime e tutt'altro che mantenute gratis. Come e più delle donne occupate, sono loro a fare miracoli con bilanci famigliari scarsi, producendo con il loro lavoro domestico e di cura enorme e indispensabile valore aggiunto. Ma questo non produce automaticamente sicurezza per loro e le loro famiglie. Anzi, ne escono indebolite nei loro diritti sociali individuali (ad una pensione decente, per esempio)".

Lo scenario descritto non è una fantomatica previsione catastrofica che mira a servire da monito ai responsabili delle istituzioni ed ai gestori della cosa pubblica italiana: è già presente, e non ci sono all'orizzonte segnali che possano farci ragionevolmente sperare che qualcuno, che di ciò dovrebbe occuparsi, si decida a cercare strumenti politici e sociali per modificare questo pericoloso, quanto anacronistico, trend. La paura è che gli illustri e ben remunerati amministratori guardino con sollievo al dato sull'aumento dell'«inattività» femminile. Perché tale dato contribuisce a ridurre il tasso di disoccupazione. Le donne che non cercano (più) lavoro, infatti, escono ufficialmente dalle forze di lavoro e di conseguenza non contano ai fini della valutazione della disoccupazione. Le «inattive» forniscono anche una legittimazione ad ogni riduzione di servizi sociali già scarsi: che bisogno ce n’è se si può contare su questa schiera di nonne e mamme «inattive» indefinitamente a disposizione?

Chiara Saraceno ci ricorda che è stato dimostrato come l'occupazione femminile, non solo allarga la base imponibile producendo maggiori entrate fiscali, ma genera anche domanda di lavoro, soprattutto nel campo di servizi. Possibile che non ci si accorga che vale anche l'effetto contrario? La disoccupazione femminile genera inattività, che a sua volta produce disoccupazione.

Ci servono esempi virtuosi di utilizzo delle risorse rosa nel mondo ipercompetitivo del business per convincere, se non gli ottusi politici, almeno gli imprenditori, della convenienza di puntare sull'integrazione delle qualità e competenze femminili con quelle qualità gestionali e dirigenziali maschili già ampiamente sfruttate e, a volte, sopravvalutate. Eccone uno.

Nel board della società ROSSO POMODORO, marchio di pizzerie diffuso in Italia con oltre 90 punti vendita, ci sono più di 50 donne. La responsabile della formazione e selezione dei manager dei punti vendita, la coordinatrice dei sistemi amministrativi e fiscali delle attività, l'architetto che si occupa del design, fondamentale per la riconoscibilità e la coerenza del brand, e poi le responsabili dei singoli ristoranti, solo per citarne alcune. Questo perché, si dice in società, le donne sono sempre pronte alle sfide, gestiscono con equilibrio situazioni complesse, sono agguerrite ma sanno anche dialogare col cuore. Una linea di gestione interna che ha contribuito al successo della società e ha permesso a donne capaci di emanciparsi dall'isolamento domestico, che spesso diventa frustrazione psicologica, per le più consapevoli, e assuefazione rassegnata alla vita fuori dal sistema economico-lavorativo per le meno ambiziose.

Facciamo passare il messaggio che la crescita dell'occupazione femminile può rappresentare un vantaggio per tutti, a diversi livelli e in diversi ambiti di interesse, da quello più particolaristico a quello pubblico. Sarebbe troppo difficile affrontare di petto la questione morale della valorizzazione delle capacità delle donne, non solo entro lo spazio familiare ma anche nell'economia e nella società.

Non avevamo capito che questa democrazia, paladina dell'uguaglianza delle opportunità, fosse fondata sul lavoro degli uomini (di sesso maschile) ... speriamo tanto di aver capito male.