lunedì 28 giugno 2010

Qualcuno ce l'ha ancora?

Uno dei sentimenti migliori dell’uomo (e della donna) è la vergogna. Più che l’amore, la stima, la compassione, la comprensione. Infatti se mancano questi sentimenti si vive male (e forse nessuno ci ama), ma certo a nessuno si fa del male. Al contrario, se ci manca la vergogna noi facciamo del male. Se non ho vergogna di azioni riprovevoli o disonorevoli, non solo non ho la percezione di aver commesso azioni condannabili, ma do al prossimo un messaggio di disinteresse e di disprezzo per le opinioni altrui.
Io faccio come mi pare, sbaglio come mi pare, non mi vergogno e quindi non mi interessa la tua opinione; la tua opinione per me non conta.

Chi ha vergogna, invece, si preoccupa di rispettare gli altri, di capire gli altri, di tener conto del giudizio degli altri. Chi ha vergogna non commette reati, chi ha vergogna rispetta la parola data, non mente, non offende, non attraversa con il rosso, dà la precedenza ai pedoni sulle strisce, non entra in chiesa con gli shorts.
Se, ad esempio, certa classe politica avesse ben radicato il sentimento della vergogna, avremmo risolto d’un colpo il problema della corruzione e dell’intrallazzo. Purtroppo alcuni (o molti?) operano senza un pizzico di vergogna.
Avere un po’ di vergogna farebbe bene anche alla salute: chi mangia o beve senza freni e senza regole arreca danni al suo organismo fino ad avere problemi di vario genere, a cominciare dall’obesità. Ma chi non ha vergogna non ha problemi…
La mancanza di vergogna è anche tra i ragazzi e più scendiamo d’età e più la vergogna scompare. Giovani e giovanissimi, ammucchiati su marciapiedi e gradini, vicino a qualche bar o a qualche vetrina, in mano sigarette e cocacola, cannucce e cannette, gomme e birrette, a schiamazzare e ridacchiare, a far urlare motorini e impianti stereo, a gridare parolacce e bestemmie, ad abbracciarsi senza ritegno, senza vergogna, appunto.
Mezzo secolo fa per amoreggiare ci si nascondeva, perché avevamo vergogna nel farci vedere. C’era una sana vergogna, che diventava il giusto confine fra il proprio comportamento, rispettoso del prossimo e il desiderio di scambiare qualche bacetto con la fidanzatina: mezzo secolo fa. 
E chissà forse ancora più male al prossimo la mancanza di vergogna di un uomo politico o di un dirigente d'azienda che compromettono per sempre con le loro azioni e decisioni, la vita di quei giovani che hanno ancora il tempo di recuperare un pò di sana vergogna
Ma il mondo va avanti.
Senza vergogna.

5 - Una escort alla corte del Re......i due persero la testa l'un per l'altra...ma lei la perse due volte!!!

Il Duca di Choiseul e sua sorella, la duchessa di Gramont la odiavano...la duchessa aspirava a prendere il suo posto dopo la morte della marchesa di Pompadour.....anche la Delfina, Marie Antoinette, la odiava e non le rivolgeva la parola, divertendosi a chamarla "la creatura". In molti la volevano morta e il suo marchio la seguiva sempre, come impresso nella carne.

Lei, Jeanne Bècu, figlia illegittima di una sartina ed un prete, era salita dai bassifondi di Parigi fino all'immensità di Versailles, fino al letto di Re Luigi XV, divenendo la sua favorita. Il conte Alphonse du Barry l'aveva notata e l'aveva addestrata per entrare nelle grazie del reggente. Divertire il Re doveva diventare il suo compito.....ma i due finirono per divertirsi a vicenda, non solo nel letto, ma anche a cavallo o giocando a carte, per questo lei non si offendeva quando a corte le dame dicevano che quello era il suo compito.

Per accedere a corte le serviva un titolo nobiliare e così sposò il fratello di Alphonse, diventando la contessa du Barry.

Luigi XV se ne innamorò perdutamente. Lei si sentiva la sua "bambina", sapeva di avergli restituito la giovinezza perduta e sapeva di regalargli un fremito di vita ogni volta che, accarezzandola, lui le sussurrava "grazie madame".

Quando il Re morì di vaiolo lei fu cacciata da corte e visse in un castello, dono di Luigi. I rivoluzionari videro in lei uno dei simboli dell'ancien régime e la ghigliottinaro nel 1793, a 47 anni.

Ritenne sempre un privilegio poter stare a fianco al "suo" Re e innaffiò il loro letto di fantasie, parole, sguardi, ma anche confidenze, lacrime, calici di vino e risate, come quelle che lei gli strappava quando le sfuggivano espressioni non consone alle mura di Versailles ed il Re seppelliva con le sue risate le cornacchie stizzite e impettite che la guardavano con biasimo e riprovazione.

venerdì 11 giugno 2010

4 - La signora scostumata

Vita Sackville West scrittrice inglese snob ed eccentrica, discendente dell'amore scandaloso tra suo nonno Lord Sackville e sua nonna Pepita, danzatrice spagnola, ebbe un animo duplice, impetuoso e flemmatico, frutto di quello strano connubio tra sangue aristocratico e sangue gitano.
Era eccessiva, vestiva da uomo e coltivava giardini sublimi, tanto che i suoi libri di giardinaggio restano ad oggi una Bibbia per gli amanti del verde.
Si sposò giovanissima col diplomatico Harold Nicholson e gli diede due figli. Il loro matrimonio fu saldissimo nonostante Harold fosse gay.
Non importava, lei amava le donne.
Fece perdere la testa a Violet Trefusis e a Virginia Woolf.
Lasciò Violet in modo lucido e affettuoso e lei l'accusò "sei crudele Vita, sei come un uomo". Vita non si illudeva, sapeva che gli amori finiscono. Con Violet fu gioco, rischio, attrazione, sesso, follia. Scapparono in Europa, inseguite dai loro rispettivi mariti.

Ai balli all'Albert Hall Vita si presentava in pantaloni di velluto, stivali alti e corpetto, diceva di vigilare sulla sua libertà. E' per questo che sapeva consumarsi nell'amore, ma evitava di estinguersi. Quando conobbe Virginia era già famosa, aveva pubblicato dei libri ed era un'icona dell'upper class londinese, ma la Woolf era una grande scrittrice, ammirata da tutti. Virginia fu arrogante e sfrontata con lei, nel circolo in cui si incontrarono, ma poi si lasciò sedurre da Vita e le dedicò addirittura un romanzo, l'Orlando. Vita rifuggeva il troppo amore, le faceva paura, si sentiva soffocare e allora scappò fino in Persia, perchè "viaggiare è il più sublime dei piaceri, se lo sai fare".

Harold fu l'unico vero impossibile amore della sua vita, unione pazza e imperfetta, amore fraterno incontaminato dal desiderio del sesso..."amore fedele di due incorreggibili traditori". E questo amore continuò a fiorire ogni volta, come la terra e i fiori dei magnifici giardini di Vita.

venerdì 4 giugno 2010

3 - Lira Divina Parlami

Lesbo le dette i natali....la Sicilia un marito e una figlia...e poi di nuovo Lesbo fu la casa della sua arte e della sua passione. Nella sua patria fondò il "tiaso", un cenacolo consacrato alla dea dell'Amore Afrodite, dove nobili e delicate fanciulle coltivavano l'arte della poesia, della musica e della danza, per poi salpare con i loro futuri mariti verso altri lidi e altre vite pensate per loro.
Gongile, Dice, Girinna, Anattoria, Agallide e le altre, si fermavano a lungo alla corte della poetessa dal soave sorriso e dal crine viola, allietavano le sue giornate...profumavano l'aria...danzavano nelle loro tuniche bianchissime...e si cingevano per lei di corone di viole profumate. Insieme, ridevano e imparavano la poesia, arte sublime, specchio terrestre degli dei...bruciavano incensi per Afrodite e correvano a perdifiato sulla spiaggia verso quella laguna in cui il cielo si riversa nel mare. Imparavano anche l'amore, s'intrecciavano in dolcissimi baci che davano refrigerio al cuore rovente incendiato da Eros.
Tutto poi, però, si risolveva in una successione costante di addii, giorno dopo giorno, stagione dopo stagione. Tutte andarono via. Non era il Fato, ma una cerrtezza, una convenzione, sia lei che loro lo sapevano.

Lei aveva una profonda percezione dell'addio: "è un addio il venire al mondo, abbandonando il calore del ventre materno, è un addio abbandonare la casa del padre per quella del caro marito, finchè non resta davanti solo la vecchiaia e la morte". E che nostalgia e disperazione nel suo cuore quando la sofferenza sui loro volti e lo smarrimento per un distacco che non avrebbero mai voluto, si trasformava lentamente in un sorriso e in una felicità inaspettata, che non la comprendeva più, perchè era rivolta a quegli uomoni superbi e nobili, belli come dei, che giungevano dal mare sulla vela bianca, gonfia di vento. In un attimo, quelle fanciulle erano già distanti, e l'ultimo sguardo che lei rivolgeva loro, aveva il sapore doloroso dell'illusione spezzata, quella dell'ingenuità di essersi preparata a dovere e infine abituata all'abbandono.
Non siamo mai pronti per un abbandono.

La leggenda narra che Saffo si suicidò buttandosi da una rupe.